giovedì 21 luglio 2005

A mo' di introduzione. (La manutenzione del mondo)

Per un gatto una sedia è certamente una cosa reale, ma non è una “sedia”.
Come non lo sarebbe stata per un essere umano appena venuto fuori dall’ultima glaciazione che se la fosse trovata di fronte catapultata nella sua epoca da una macchina del tempo. La rappresentazione dell’africano con una sveglia appesa al collo, così comune nelle vignette che volevano essere umoristiche negli anni del colonialismo, voleva sottolinearne l’inferiorità culturale e intellettuale, ma traduce, in maniera certo involontaria eppure efficace, lo spiazzamento che subiscono gli oggetti fuori dal contesto narrativo in cui sono prodotti.
La pietra conservata nella Kaaba per molti è solo un meteorite, ma se i Buddha di Bamiyan fossero stati per i talebani solo delle statue il cui valore va misurato con l’unico metro dell’estetica non li avrebbero certo presi a cannonate.
Un martello è un oggetto che serve a piantare chiodi, un cavatappi è un oggetto che serve a stappare le bottiglie. Ma un bambino che gioca è in grado di trasformare un cavatappi in un aereo e la necessità può far diventare martello una pinza.
Il significato degli oggetti sta nell’uso che ne facciamo. E l’uso cambia.
Cambia ciò che facciamo delle strade, dei marciapiedi, delle piazze, dei balconi, di pezzi interi di città. E, mentre avvengono questi cambiamenti, c'è bisogno che ce li raccontiamo.
Il Colosseo trasformato in cava di marmi è la conseguenza di una narrazione che si faceva via via più flebile mentre altre ne prendevano il posto. Le relazioni fra le persone e le cose richiedono una continua narrazione, insomma il mondo è perché è narrato.


Non siamo che appena svegli e già siamo impegnati a porre rimedio all’incertezza dei sogni.
L’inesausto riavviarsi dell’incessante opera di manutenzione del mondo ricomincia dicendosi “buongiorno”, accendendo la radio, scaldando il latte.
Parlando, ascoltando, raccontando, scrivendo, leggendo, tasselli di ordine vengono scambiati e ricombinati a formare quell’isola di senso che, appunto, chiamiamo mondo.
Se questo incessante flusso narrativo si fermasse ci smarriremmo e il mondo comincerebbe a sfaldarsi. Se le parole non si attagliassero più – e con tempi coerenti – alle cose, il mondo perderebbe significato. Non raccontato il paesaggio diventerebbe incomprensibile.
Che la creazione si ripeta in ogni istante lo sapevano bene gli antichi, tra noi moderni, invece, solo i poeti se ne accorgono.

Continuamente nascono centri di produzione di senso, moderne agenzie di socializzazione, che affiancano o entrano in competizione con quelli vecchi.
Intersecandosi, cercando di diffondersi, le narrazioni fra loro sanno essere parassiti, simbionti, cacciatori o vittime: a volte si arrecano reciproco sostegno, altre volte, invece, danno. L’alleanza di oggi sarà il conflitto di domani.
Moderno lógos, ciò che oggi da senso a ciò che ci circonda, è il sistema integrato degli oggetti, dei media, della pubblicità.
Queste narrazioni ci attraversano e alcune ci prendono, in noi diventano prevalenti e all’incrocio di queste ciascuno di noi si colloca sperando – spesso, ahimé, invano – in un punto di equilibrio, di minimo dolore almeno, se non di felicità.

Lasciata sola e indisturbata di agire ogni narrazione ricoprirebbe la realtà con una tessitura regolare e totalizzante, ma così non è, e dal conflitto vengono crepe nella tessitura del mondo che nella nostra coscienza si fanno dubbi, incertezze, graffi, ferite, cicatrici: è ad esse che dobbiamo la nostra libertà e umanità.

Ci sono luoghi in cui le perturbazioni nella trama sono più evidenti: è la stessa tessitura del mondo che si fa più rarefatta e fra i tentativi di ordine si insinua come un tarlo l’evidenza dell’inconsistenza e insufficienza della trama.
Questi luoghi sono quelli in cui vive la maggioranza dell’umanità: le periferie, e il suo linguaggio universale è il kitsch.

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