venerdì 17 novembre 2006

La purezza del mondo


Al dialetto bitontino, mi raccontava tempo fa un caro amico, appartiene un’espressione (scì rùeteche, spero di riportarla correttamente), difficile da tradurre in italiano, ma che trova un parziale corrispettivo nel greco antico agorázein, che si può tradurre come “andare in piazza ad occuparsi di un po’ di tutto”. Corrispettivo parziale, dicevo, perché il verbo greco deriva da agorà, cioè foro, piazza, intesa come centro delle attività, dei commerci, delle discussioni e delle decisioni pubbliche; invece scì rùeteche denota un andare in giro scambiando informazioni e opinioni, senza una finalità particolare, piuttosto per il puro piacere di essere al corrente di ciò che accade. Insomma la differenza sta in quel scì, in quel andare senza una meta e senza uno scopo preciso, e nel senso civico declinante rispetto ai fasti antichi. Non manca, peraltro, in quella espressione un po’ di quella riprovazione presente in maniera decisamente più marcata in quella molfettese scì arénne: in fin dei conti si tratta pur sempre di bighellonare.
Mi piace pensare che, rispetto a quella molfettese, quella bitontina sia una espressione più antica, relativa ad un tempo in cui il vagabondaggio, l’andare a zonzo, il girovagare, insomma il curiosare irrequieto e inquieto che è stata la primordiale condizione umana, non avesse ancora e in maniera definitiva finito per essere percepita come potenzialmente pericolosa per la società. E infatti si tratta, oggi, di una attività sottoposta a un rigido controllo sociale: immaginate se tutti noi continuamente ci aggirassimo per le città non inseguendo i nostri impegni, ma senza una meta precisa, puntando la nostra attenzione su tutto quello che capita sotto i nostri occhi.
Il fatto è però che quella condizione c’è talmente rimasta nel sangue da essere ancora considerata una delle più piacevoli fra le attività umane, anche se ridotta e circoscritta nelle modalità e nei tempi e alle persone a cui è consentito praticarla.
Quando ci è concesso di farlo è solo per poco tempo nella nostra vita, nei rari momenti in cui cessiamo di essere quel che siamo per diventare qualcos’altro: turisti. Allora, dismessa la nostra divisa di fedeli servitori della società per indossare abiti che abitualmente non oseremmo mai mettere, possiamo aggirarci fra vicoli, mulattiere o tapis roulant osservando tutto con gli occhi di chi vede il mondo per la prima volta. E che siamo impegnati in questo esercizio sentiamo il bisogno di sottolinearlo, cingendo intorno al collo una macchia fotografica più o meno costosa, più o meno sofisticata, ma che definitivamente ci assicura la riconoscibilità e il trattamento adeguato a questo nostro nuovo status.
I percorsi, che nei nostri luoghi di origine pratichiamo soprattutto in macchina, così che quello che vediamo, e che si trova al di là del vetro, risulta inquadrato dai finestrini facendo sparire i piani alti e i marciapiedi e facendoci perdere il senso d’insieme, quei percorsi che ci portano sempre negli stessi luoghi alla stessa ora, con lo stesso passo e con pensieri simili in testa, per qualche tempo possono così sembrare sfuggire al reticolo dei rapporti sociali ed economici.
Ma in realtà, così come i percorsi cittadini si sono trasformati in spostamenti urbani fra zone della città destinate a funzioni diverse (quartiere degli affari, quartieri notturni, quartieri dormitorio, zone per turisti), anche il viaggio turistico si è progressivamente trasformato in trasferimento fra luoghi sempre più simili seppur diversamente specializzati.
Tracciare percorsi, trovare vie nuove è qualcosa che appare ormai precluso ai più.
E, infatti, esistono pochi privilegiati ai quali è consentito di aggirarsi per il mondo con occhi puri, anzi a loro è delegata la purezza dello sguardo sul mondo, di modo che il resto dell’umanità possa continuare a guardare ciò che li circonda con sufficienza e senza sentirsi troppo in colpa per ciò che fa per degradarlo: i fotografi. Pregate, dunque, per loro.

(A proposito: quel mio amico bitontino si chiama Salvatore Ambrosi. E fa il fotografo.)

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