lunedì 21 gennaio 2008

Post-consumo

Di cosa viene oggi chiamato a rispondere Pecoraro Scanio

Dovremmo essere grati ai campani che, per mostrare a tutto il mondo cosa siano veramente i rifiuti, hanno esibito vergogne che tutti noi cerchiamo di tenere nascoste sprofondandole nei buchi neri delle discariche e degli inceneritori.
Eccolo dunque, esposto a decorare strade e piazze, l’esito ultimo del nostro agire quotidiano: cataste di cose consumate ma non abbastanza per non rivelarsi sin troppo invadenti.
Ecco lì il vasetto di yogurt di ieri, il foglio di domopack che avvolgeva la fettina di vitello una settimana fa. Quel vasetto di marmellata, lo ricordi?, e la scatola di cioccolatini? e la radio che ha smesso di funzionare e il cellulare che non ti piaceva più?
Questo museo della memoria, che si srotola lungo il percorso che porta al supermercato e al rito quotidiano del consumo, impedisce di scacciare dalla coscienza quello che altrove si dimentica con facilità esasperante. Le strade di Napoli sono il luogo del deflagrante ritorno nel quotidiano di ciò che dalla nostra civiltà deve essere assolutamente rimosso, cancellato per sempre, affidato definitivamente al nulla.

«Do you like Kipling?»
«I don’t know, I’ve never kippled»
Dal collasso semantico che porta a scambiare uno scrittore per un gerundio (o una moglie per un cappello) prende il nome, nel romanzo di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep?, il caos che si avventa sul mondo, sopraffacendolo.
Il kipple, che piove continuamente e monotonamente sull’incubo urbano del romanzo che sugli schermi cinematografici diverrà Blade Runner, è il risultato ultimo della consunzione della materia, l’esito estremo del decadimento entropico: è materia priva di ogni accenno di forma, è il mondo come doveva essere prima del soffio divino, è l’esito conclusivo del consumo fisico e semantico delle cose che cessano di essere quel che sono per diventare quell’indistinto in cui è impossibile rintracciare ogni accenno seppur vago di differenze, quel “grigio” che Klee indicava come caos: né bianco né nero, ma primordiale mancanza di ogni colore, di luce e di buio, luogo privo di riferimento e di direzione, spazio che non è uno spazio e in cui ci si perde senza possibilità di salvezza. È l’orrore del caos, l’abisso che sbadiglia secondo la definizione dell’Abbagnano, che piove giù, da un cielo sempre buio, a ricoprire un groviglio urbano senza speranza.
Materia esausta, sterile. Atomi che non sanno legarsi a formare molecole, particelle incapaci di formare atomi.
Se non è proprio questo ciò che vien fuori dai termovalorizzatori, beh, gli assomiglia molto, se non da un punto vista fisico certamente da quello della logica del liberismo senza regole che porta a consumare tutto sino all’esito finale.
A questa logica lineare di consumo estremo, di annichilazione senza rimedio del mondo si oppongono gli ambientalisti.
Di questa opposizione dovrà domani rendere conto Pecoraro Scanio, chiamato da una mozione di sfiducia a rispondere più che della situazione campana, da cui c'è comunque chi riesce a trarre profitto, del suo no al Ponte sullo Stretto, delle sue cautele nei confronti di termovalorizzatori e centrali, del suo aver ricordato che le VIA e VAS possono anche mostrare che i danni del fare a ogni costo possono sopravanzare abbondantemente il non fare.

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P.S. 22/01
Il precipitare dei fatti in quella che appare ormai l’irreversibile crisi del governo Prodi impedirà che la questione ambientale possa venire affrontata in parlamento nella forma di messa sotto accusa del titolare del dicastero dell’Ambiente e finirà così, sotto il tappeto del prossimo governo, coll’essere derubricata, in nome della crisi economica incombente, a mera faccenda ingegneristica.

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