sabato 25 agosto 2007

Krvat


È il 25 d’agosto e l’estate più calda che i termometri abbiano mai registrato non accenna ancora a finire; un’estate talmente calda che il 2 luglio l’Ente Nazionale Idrocarburi ha lanciato l’iniziativa Eni si toglie la cravatta invitando i propri dipendenti di Roma e San Donato Milanese a vestire in modo più fresco.
Il 16 luglio anche il ministro Livia Turco ha invitato gli italiani a fare a meno della cravatta nei luoghi di lavoro in modo da «produrre un immediato abbassamento della temperatura corporea valutabile tra i 2 e i 3 gradi centigradi, con beneficio dell’organismo e con conseguente minore necessità di refrigerio permettendo un più oculato uso del condizionamento artificiale dell’aria, a tutto vantaggio del risparmio energetico e della tutela dell’ambiente». E il giorno dopo è stata la volta di Pecoraro Scanio: «Ho apprezzato l’invito di Livia Turco a non usare le cravatte durante le ondate di caldo come quella che sta investendo in questi giorni il nostro Paese: oltre ad abbassare la temperatura corporea, con benefici effetti sulla salute, il non utilizzo della cravatta permette di “alzare” i condizionatori di qualche grado, con un notevole risparmio di energia e un conseguente abbattimento delle quote di CO². Mi auguro che tutti i colleghi ministri si adeguino dando indicazione al personale dei propri ministeri di togliere la cravatta, per il benessere dei dipendenti e dell’Ambiente».
Ben due ministri della Repubblica hanno insomma avvertito la necessità di intervenire per cercare di convincere gli italiani a trarre le ovvie conseguenze da quanto già sanno e cioè che d’estate, con la cravatta, fa più caldo e che, quindi, sarebbe più sensato farne a meno.
Per la verità ci sarebbero anche altre ragioni, e altrettanto valide, per invocare l’abbandono dell’accessorio: nodi tropo stretti e colletti di camicia rigidi possono provocare un aumento della pressione intraoculare e aumentare il rischio di glaucoma, le cravatte tendono pericolosamente ad impigliarsi in congegni mobili, nelle pale dei ventilatori per esempio o nella ventola di raffreddamento della automobili quando si cerca di rabboccare l'olio a motore caldo e, secondo la British Medical Association, la cravatta è pericolosa anche per chi non la indossa: venendo lavata poco rispetto agli altri indumenti costituisce un pericoloso veicolo di germi patogeni sventolato per di più dai medici proprio in faccia ai pazienti.
E, d’altra parte, a che serve? È singolare come una cosa così inutile e molte volte scomoda come la cravatta sia potuta diventare sinonimo di eleganza, mentre la natura stessa dell’eleganza vien spesso ricercata nella misura e nell’economicità funzionale dei gesti rispetto ai fini (è questo che si intende quando si definisce “elegante” una mossa nel gioco degli scacchi o una dimostrazione matematica o un’azione calcistica). È singolare anche che la cravatta si sia affermata pienamente come oggetto di moda proprio dopo essere stata esibita come vessillo del dandismo, in opposizione alla moda di fin de siècle: la cravatta, di tutti gli elementi che formano la toeletta del dandy è il più significativo perché è “il più prossimo al nulla”: un vessillo di libertà e ribellione diventato un simbolo di ostentato conformismo borghese.
Il passaggio ad un’economia di mercato è stata accompagnata in Cina dall’abbandono della classica divisa maoista e dalla sua sostituzione con la giacca e cravatta, in Senato non si può accedere senza cravatta (ne è rimasta famosa una – decorata con disegni di maiali – indossata dal leghista Speroni) e le ampie aperture del camice della arciconfraternita di Santo Stefano, che una volta serviva a mostrare le luccicanti armature nobiliari, oggi rivelano giacche e cravatte.
Due anni fa Koizumi, assai prima dunque della Turco e di Pecoraro Scanio, ha invitato i giapponesi a togliersi la cravatta dal collo; diligenti gli abitanti del Sol Levante hanno ubbidito. Ma la cosa deve averli poco convinti se in quel paese un’azienda ha pensato bene di mettere in commercio un singolare oggetto: un plasticoso simulacro tecnologico che della cravatta ricorda la forma e che viene indossato nella stessa posizione a coprire i bottoni della camicia, ma che incorpora un ventilatore. Nessuna persona sana di mente penserebbe mai di indossare un oggetto simile se non per scherzo o sotto la spinta di una forte costrizione. E in effetti non v’è dubbio che spesso le cravatte siano vissute come oggetti transizionali, coperte di Linus, indispensabili punti fermi per cercare di dare un punto di stabilità alla propria personalità.
La parola “cravatta” deriva dalla francesizzazione della parola slava “krvat”, cioè “croato”. Il Royal Cravatte era un reggimento slavo che combatteva per Luigi XIII e che portava come segno di riconoscimento una fascia colorata intorno al collo. “Segnare” con corde o lacci colorati polsi, caviglie, parte inferiore del ginocchio, omeri, collo, fronte, è sempre stato un modo per affidare alla protezione divina i punti deboli.
Un ricordo di questa abitudine lo si ritrova durante la sagra della Madonna dei Martiri quando i devoti si lanciano in mare dalle barche con strisce di stoffa colorata legate intorno ai “restringimenti del corpo”. I croati, da secoli impegnati in guerra contro i turchi, chiedevano la protezione divina su quello che più temevano di perdere sotto i colpi delle scimitarre mussulmane.
La prossima volta che indosserete una cravatta, ricordatevene. Ma aspettate l’autunno.

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