lunedì 10 dicembre 2007

Copyright dopo la battaglia

La privatizzazione del magenta


Quando tutto era ormai finito e mentre si accendevano i primi fuochi nella luce avvampata del tramonto, i fèz e i calzoni degli zuavi sfiniti di stanchezza, le camicie aperte sui petti rantolanti, il terreno zuppo di sangue, gli stivali, le baionette, le mani, tutto il mondo sembrava colorato di rosso, un rosso così intenso che il mondo non se lo sarebbe più scordato. E così, qualche mese dopo, quando scoprì il primo colorante artificiale a base di anilina, che da lì a poco avrebbe sostituito il “rosso turco” estratto dalla garanza proprio come tintura per i calzoni degli zuavi, François-Emmanuel Verguin lo chiamò “magenta”.
Erano, quelli, anni in cui agli uomini sembrava che un futuro migliore fosse a portata di mano. La storia si era finalmente messa in moto, la luce della scienza lanciava lampi che squarciavano le tenebre dell’ignoranza, e tutte le catene che opprimevano l’umanità pareva che fossero in procinto di spezzarsi.
Persino i colori sembrava che volessero partecipare all’affrancamento dal vecchio.
Nel 1856, tre anni prima della battaglia di Magenta, il “Malva di Perkin” era stato il primo colorante artificiale ad essere prodotto. I rossi erano sempre stati colori costosi, destinati a ricchi e potenti: l’imperatore e i senatori romani erano vestiti di preziosissime porpore, la Rubia tinctorum, il chermes e l’iperico avevano fatto per secoli la fortuna dei tintori medievali che vi estraevano il rosso di garanza, il carminio e il “sangue di San Giovanni” e vendevano le pezze di stoffa colorate di rosso ad un prezzo dieci volte più alto di quelle tinte col già costoso azzurro; il granato estratto dalla cocciniglia del nopale (quello che chiamiamo comunemente “fico d’India”) raccolta nella città messicana di Oaxaca, era considerato con l’oro e l’argento uno dei principali tesori che gli spagnoli importavamo dalle Americhe.
I coloranti artificiali permisero ai miserabili di vestirsi di rosso: era un po’ come se avessero conquistato il cielo. Inorriditi dall’idea di confondersi con il volgo i nobili e i ricchi volsero allora le loro preferenze ai grigi, ai neri e alle tinte pastello. Il rosso, che era già considerato un segno di sfida, avrebbe da allora in poi rappresentato le cause popolari e il cuore, la passione e il mettere a disposizione delle ragioni degli oppressi il proprio sangue. Senza queste nuove, economiche tinture artificiale, di lì a poco i vessilli rossi non avrebbero sventolato sulle barricate della Comune di Parigi. E Garibaldi non avrebbe potuto permettersi quel gesto di sfida e di gioia che era indossare la camicia rossa.

T-Mobile è una compagnia della Deutsche Telecom che si occupa di telefonia mobile, nel Registro dei brevetti europeo il colore magenta risulta di sua proprietà con il codice di attribuzione CTM 002534774. La T-Mobile ha già fatto causa ad altre aziende che avevano usato il magenta nei loro loghi o nel loro packaging. In molti si sono ribellati a quello che viene vissuta come un intollerabile esproprio (
http://www.stijlfigurant.nl/magenta/index.php, http://www.freemagenta.nl/).
Alle aziende viene riconosciuto il diritto di registrare elementi identitari sia perché le stesse aziende possano distinguere i loro prodotti da quelli della concorrenza, sia a garanzia dei consumatori che devono poter avere certezza della provenienza di ciò che acquistano. Viene consentita la registrazione e l’uso esclusivi di loghi, imballaggi, caratteri tipografici e colori da soli o in combinazione, jingle, musiche, insomma qualunque “segno” può essere brevettato.
Ma un colore in quanto tale, non delimitato cioè da forme grafiche, può essere considerato un segno?
In linguistica per “segno” si intende un’entità costituita da un significante e da un significato, uniti da un codice. Che un colore in quanto tale possa essere a tutti gli effetti un segno ce ne rendiamo conto quando evitiamo di attraversare col rosso (mi rendo conto che questo esempio possa apparire a chi vive a Molfetta di limitata validità). Ma nel momento in cui la giurisprudenza riconosce che un colore in astratto può essere considerato un segno (e non si vede come possa evitare di farlo) succede che, siccome i colori visualizzabili su un monitor sono 16.777.216 (e quelli stampabili assai di meno) e che su questo pianeta siamo sei miliardi, se tutti volessimo rivendicarne un colore a uso esclusivo, non ce ne sarebbero abbastanza.
Fatto dunque salvo il principio bisogna capire come gestirlo. La giurisprudenza si muove fra l’esigenza giusta di tutelare l’identità dei prodotti e l’altrettanto giusta esigenza di impedire che la libertà incondizionata da parte di alcuni mini la libertà e i diritti dei molti. Limitare il settore merceologico di esercizio dei diritti di esclusiva, considerare i colori principali di irrinunciabile dominio pubblico, concedere la registrazione solo a colori già comunemente considerati come univocamente riferibili a una marca: tutte vie tentate, incerti i risultati.

La Kraft ottenne nel 1995 la registrazione del colore lilla tipico della confezione della cioccolata Milka, rivendicandone l’uso esclusivo per qualunque prodotto a base di cioccolato: fu il primo colore-marchio legalmente protetto in Europa.
Ma sempre la Kraft Foods, colosso del cibo americano, ha recentemente recuperato il dominio milka.fr da una sarta francese che di nome fa proprio “Milka”. Il Tribunal de grande instance di Nanterre ha dato ragione al gigante dell'agroalimentare, condannando Milka Budimir a cedere la proprietà del nome di dominio alla multinazionale. A nulla è servito che il nome della donna fosse proprio “Milka” e che non facesse la cioccolataia.
"In questo caso, si trattava di decidere se il titolare di un marchio può proibire a un terzo l'utilizzo di un segno distintivo - ha commentato Gérard Haas, avvocato della signora Budimir -. I giudici hanno ritenuto che l'identità del nome non dia alcun diritto nel mondo degli affari e in materia di diritto commerciale. Il marchio trionfa. Non abbiamo ancora deciso se faremmo appello".

1 commento:

Anonimo ha detto...

mi piace moltissimo questa pagina sui colori e sui nomi... A dire il vero non ci avevo ma pensato, soprattutto in merito alla storia dei colori! bè insomma davvero non siamo più liberi... per fortuna però le "sfumature" della vita...almeno quelle sono personalissime!! Giovanna